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simbulismos liticos
80. Epifanie e simbolismi litici.
Zimmern ha mostrato che "Beth-el", ‘casa di Dio’, è insieme nome divino e appellativo della pietra sacra, del betilo (58). Giacobbe s'è addormentato sopra una pietra, nel punto dove il Cielo e la Terra sono in comunicazione; era un ‘centro’ corrispondente alla ‘Porta dei Cieli’. Ma il Dio che appare in sogno a Giacobbe è il Dio di Abramo, come rileva il testo biblico, o è una divinità locale, il dio di Bethel, come credeva nel 1921 il Dussaud? (59) I testi di Ras Shamra, che sono preziosi documenti per la vita religiosa dei Semiti premosaici, dimostrano che "El" e "Bethel" sono i nomi equivalenti di una stessa divinità (60). In altri termini, Giacobbe nel suo sogno ha visto il Dio dei padri e non una divinità locale. Per consacrare il luogo ha eretto un betilo, venerato in seguito dagli indigeni come una certa divinità, Bethel. Le "élites" monoteiste fedeli al messaggio di Mosè hanno sostenuto lunghe lotte contro quel ‘dio’, quelle lotte che Geremia ricorda. ‘Si può tenere per dimostrato che, nel famoso racconto della Visione di Giacobbe,... il dio di Bethel non era ancora il dio Bethel.
Ma l'identificazione e la confusione poterono avvenire piuttosto rapidamente negli ambienti popolari’ (61). Dove Giacobbe vide secondo la tradizione - la SCALA degli angeli e la casa di Dio, i contadini palestinesi vedevano IL DIO BETHEL (62).
Ma è bene ricordare che, quale che fosse il dio riconosciuto in Bethel dalle popolazioni autoctone, la PIETRA rappresentava tuttavia soltanto un SEGNO, una casa, una teofania. La divinità si MANIFESTAVA per il tramite della pietra, oppure - in alcuni rituali - doveva ATTESTARE e santificare un patto concluso nelle sue vicinanze. Questa TESTIMONIANZA consisteva, per la coscienza popolare, nell'incarnazione della divinità in un sasso, e per le "élites", in una trasfigurazione del sasso mediante la presenza divina. Dopo aver concluso il patto fra Jahvè e il suo popolo, Giosuè ‘prese una grossissima pietra, la collocò sotto la quercia che era nel santuario del Signore, e disse a tutto il popolo: ‘Questa pietra sarà in testimonianza per voi, che avete udito tutte le parole dettevi dal Signore, affinché non avvenga che voi vogliate negare...’ (63). Dio è ‘testimonio’ anche nelle pietre erette da Labano in occasione del suo patto di amicizia con Giacobbe (64). Simili pietre-testimoni furono probabilmente adorate dalle popolazioni cananee in quanto manifestazioni della divinità.
La lotta delle "élites" monoteiste mosaiche era condotta contro la confusione frequente fra il SEGNO della presenza divina e l'INCORPORAZIONE della divinità in un qualsiasi ricettacolo.
‘Non vi farete idolo né scultura, non erigerete pilastri ("masseba", ‘pietra sacra’), né porrete nella vostra terra segnali cospicui ("maskit", ‘pietra figurata’) per adorarli’ (65). E nei "Numeri" (33, 52) Dio ordina a Mosè di distruggere le pietre cultuali che avrebbe incontrato in Canaan: ‘Spezzate i pilastri scolpiti ("maskitim"), fate in bricioli le statue, distruggete tutti gli altari dei luoghi alti’. Qui
assistiamo non a un conflitto fra la fede e l'idolatria, ma al combattimento di due teofanie, di due momenti dell'esperienza religiosa: da una parte la concezione arcaica, che identificava la divinità con la materia e la adorava, quale che fosse il luogo o la forma dell'apparizione divina; d'altra parte una concezione sorta dall'esperienza di un'"élite", che riconosceva la presenza divina soltanto nei luoghi consacrati (l'arca, il tempio, eccetera) e in certi riti mosaici, e cercava di confermare questa presenza nella coscienza stessa del credente. Come per solito avviene, le antiche forme e oggetti cultuali, una volta modificato il loro significato e il loro valore religioso, furono adottati dalla riforma religiosa. Nell'Arca dell'Alleanza, ove secondo la tradizione si conservavano le Tavole della Legge, erano state forse racchiuse in origine certe pietre cultuali consacrate dalla presenza divina. I riformatori accettavano questi oggetti, valorizzandoli entro un complesso religioso diverso, conferendo loro un contenuto completamente differente (66). Ogni riforma, insomma, viene fatta contro una degradazione dell'esperienza originaria; la confusione fra SEGNO e DIVINITA' si era aggravata negli ambienti popolari, e appunto per eliminare il pericolo di tali confusioni, le "élites"
mosaiche distruggevano I SEGNI (le pietre figurate, le immagini scolpite, eccetera) o ne trasformavano il significato (‘Arca dell'Alleanza’). La confusione che rapidamente ricompariva sotto altre forme, determinava nuove riforme, vale a dire una nuova proclamazione del significato originario.
81. Pietra sacra, "omphalos", ‘Centro del Mondo’.
La pietra su cui si era addormentato Giacobbe non era soltanto
la ‘casa di Dio’, era anche il luogo dove, per mezzo della
‘scala degli angeli’, Cielo e Terra venivano posti in
comunicazione. Di conseguenza il betilo era un ‘centro del
Mondo’, come la Ka'ba della Mecca o il Monte Sinai, come tutti i
templi, palazzi e a centri’ consacrati ritualmente (paragrafi
143 e seguenti). La qualità di ‘scala’ che unisce il Cielo e la
Terra derivava da una teofania effettuatasi in quel punto; la
divinità che si mostrò a Giacobbe sul betilo rivelava, in quel
momento, il luogo ove poteva scendere in terra, il punto ove il
trascendente poteva manifestarsi nell'immanente. Vedremo più
oltre che simili scale fra Cielo e Terra non sono
necessariamente localizzabili in una geografia concreta,
profana; che il ‘centro del Mondo’ può venir consacrato
ritualmente su infiniti punti geografici, senza che
l'autenticità di ciascuno leda quella degli altri.
Ci contenteremo, per ora, di ricordare alcune credenze intorno
all'"omphalos" (‘ombelico’) del quale Pausania dice (10, 16, 2):
‘Quel che gli abitanti di Dodona chiamano "omphalos" è fatto di
pietra bianca e si ritiene che occupi il centro della terra, e
Pindaro, in una delle sue odi, conferma questa opinione’. Molti
lavori sono stati pubblicati sull'argomento. Rohde e la Harrison
credono che l'"omphalos" rappresentasse in origine la pietra
funebre posta sulla tomba (67). Il Roscher, che ha dedicato tre
monografie al problema, afferma che l'"omphalos" fu concepito
fin dall'inizio come ‘centro della terra’. Nilsson (68) non
sembra soddisfatto di queste interpretazioni e considera i due
concetti della pietra tombale e del ‘centro del mondo’ recenti e
sostituiti a una credenza più ‘primitiva’.
In realtà, le due concezioni sono ‘primitive’ e non si escludono
fra loro. Una tomba, considerata come punto d'interferenza del
mondo dei morti, del mondo dei vivi e di quello degli dèi, può
essere contemporaneamente un ‘centro’, un ‘"omphalos" della
Terra’. Ad esempio, presso i Romani il "mundus" rappresentava il
luogo di comunicazione fra i tre domini: ‘quando il "mundus" è
aperto, è aperta anche la porta dei tristi dèi dell'Inferno’,
scrive Varrone (69). Il "mundus" evidentemente non è una tomba,
ma il suo simbolismo ci permette di capire meglio la funzione
analoga dell'"omphalos": le sue eventuali origini funerarie non
contraddicono alla sua qualità di ‘centro’. Il luogo ove poteva
stabilirsi la comunicazione col mondo dei morti e con quello
degli dèi sotterranei, era consacrato come un anello di
congiunzione fra i vari piani cosmici, e un tal luogo poteva
trovarsi unicamente in un ‘centro’ (la multivalenza simbolica
dell'"omphalos" sarà studiata entro il complesso che le è
proprio, quando analizzeremo la teoria e la funzione rituale
della consacrazione dei ‘centri’, paragrafo 145).
Sovrapponendosi all'antico culto ctonio di Delfo, Apollo si
annetté l'"omphalos" e i suoi privilegi. Inseguito dalle Erinni,
Oreste è purificato da Apollo accanto all'"omphalos", il luogo
sacro per eccellenza, l'‘ombelico’ che col suo simbolismo
garantisce una nuova nascita e una coscienza reintegrata. La
polivalenza della ‘pietra centrale’ è conservata ancor meglio
nelle tradizioni celtiche. Lia Fail, ‘la pietra di Fail’ (il
nome è oscuro; Fail = Irlanda?) comincia a cantare appena vi si
siede sopra l'uomo degno del trono; nelle ordalie, l'accusato
che sale su quella pietra, se è innocente, diventa bianco; di
fronte a una donna destinata a rimanere sterile, la pietra suda
sangue, ma per una donna destinata alla maternità, trasuda latte
(70). Lia Fail è una teofania della divinità del suolo, l'unica
che riconosce il proprio padrone (il re d'Irlanda), la sola che
dirige l'economia della fecondità e garantisce le ordalie.
Esistono, ben inteso, anche varianti falliche, tardive, di
questi "omphaloi" celtici: la fecondità è per eccellenza
attributo del ‘centro’, e i suoi emblemi sono spesso sessuali.
La valorizzazione religiosa (e implicitamente politica) del
‘centro’ da parte dei Celti è attestata da nomi come
"medinemetum", "mediolanum" (71), conservati fino a oggi nella
toponimia francese (72). Considerando gli insegnamenti della Lia
Fail e di alcune tradizioni conservate in Francia, possiamo
identificare questi ‘centri’ con le pietre onfaliche. Nel
villaggio di Amancy (cantone della Roche), ad esempio, esiste
(prova sicura del ‘centro ) una PIETRA DEL MEZZO DEL MONDO (73).
La "Pierra chevetta" (cantone di Moutiers) non è mai stata
sommersa dalle inondazioni (74), vaga sopravvivenza del ‘centro’
che il diluvio non è riuscito a inghiottire (paragrafo 143).
82. Segni e forme.
In tutte le tradizioni l'"omphalos" è una pietra consacrata da una presenza sovrumana o da un qualsiasi simbolismo. Come i betili e i "masseba" o i megaliti preistorici, l'"omphalos" ATTESTA qualche cosa, e da questa testimonianza trae il suo valore o la sua funzione nel culto. Sia che PROTEGGANO i morti (come, ad esempio, i megaliti neolitici), sia che attestino un patto concluso fra uomo e Dio o fra uomo e uomo (presso i Semiti), sia che ricevano un carattere sacro dalla loro forma o dalla loro origine uranica (meteoriti, eccetera), sia finalmente che rappresentino teofanie o punti di intersezione delle zone cosmiche, o immagini del ‘centro’, le pietre traggono sempre il loro valore cultuale dalla presenza divina che le ha trasfigurate. dalle forze extra-umane (le anime dei morti) che vi si sono incarnate, o dal simbolismo (erotico, cosmologico, religioso, politico) che le inquadra. Le pietre cultuali sono SEGNI ed esprimono sempre una realtà trascendente. Dalla semplice ierofania elementare rappresentata da certe pietre e da certe rocce - che COLPISCONO lo spirito umano con la loro solidità, durezza e maestà - fino al simbolismo onfalico o meteorico, le pietre cultuali non cessano mai di SIGNIFICARE qualche cosa che va oltre l'uomo.
Evidentemente questi ‘significati’ si trasformano, si sostituiscono, talvolta si degradano o si rafforzano. Non si possono analizzare in poche pagine. Basti dire che vi sono forme del culto delle pietre che hanno i caratteri di una regressione all'infantilismo; altre che, in seguito a nuove esperienze religiose o per il fatto di integrarsi ad altri sistemi cosmologici, subiscono trasformazioni tanto radicali che diventano pressoché irriconoscibili. La STORIA modifica, trasforma, degrada o, grazie all'intervento di qualche vigorosa personalità religiosa, trasfigura qualsiasi teofania. Vedremo
più oltre il significato delle modificazioni portate dalla STORIA nel campo della morfologia religiosa. Ricordiamo per ora un esempio di ‘trasfigurazione’ della pietra: il caso di alcuni dèi greci.
‘Risalendo ancor più lontano nel tempo’, scrive Pausania (7, 22, 4), ‘si vedono tutti i Greci rendere onori divini non a statue, ma a pietre non lavorate ("argoi lithoi")’. Il personaggio di Hermes è preceduto da una lunga e confusa preistoria: i sassi collocati ai lati delle strade per ‘proteggerle’ e conservarle si chiamavano "hermai"; soltanto più tardi una colonna itifallica, sormontata da una testa d'uomo, un "hermès", passò
per immagine del dio. Così, prima di diventare nella religione e
nella mitologia postomerica la ‘persona’ che sapete, Hermes in
principio era soltanto una teofania di pietra (75). Queste
"hermai" significavano una presenza, incarnavano una forza,
proteggevano e fecondavano insieme. L'antropomorfizzazione di
Hermes nasce dall'azione corrosiva dell'immaginazione ellenica e
dalla tendenza che la gente ebbe, abbastanza presto, a
personalizzare sempre più le divinità e le forze sacre. Sicché
assistiamo realmente a un'evoluzione, la quale non implica
affatto una ‘purificazione’ e un ‘arricchimento’ della divinità,
ma soltanto una modificazione della FORMULA mediante la quale
l'uomo in principio esprimeva la propria esperienza religiosa e
il proprio concetto della divinità. Il Greco ha raffigurato in
modi diversi, nel corso del tempo, i concetti che si
sviluppavano nella sua immaginazione. Gli orizzonti del suo
spirito audace, plastico e fecondo si ampliavano, e le antiche
teofanie, sulla nuova scena ove andava perduta la loro
efficacia, perdevano anche il loro significato. Le "hermai"
manifestavano una presenza divina soltanto a una coscienza
capace di ricevere la rivelazione del sacro in modo immediato,
in qualsiasi gesto creatore, per mezzo di qualsiasi ‘forma’ o
‘segno’. Hermes, per suo conto, si staccò dalla materia; la sua
figura divenne umana, la sua teofania diventò un mito.
La teofania di Athena presenta la stessa evoluzione del SEGNO
alla PERSONA: quale che sia la sua origine, il PALLADIUM, nei
tempi preistorici, manifestava la forza immediata della dea
(76). Apollo Agyieo, in principio, era soltanto una colonna di
pietra (77). Nel Ginnasio di Megara c'era una piccola pietra
piramidale chiamata Apollon Karinos; a Malea, Apollon Lithesios
sorgeva accanto a un sasso, e questo epiteto del dio è stato
recentemente interpretato con "lithos" (78), etimologia che
Nilsson (79) crede soddisfacente né più né meno delle
precedenti. In ogni modo è sicuro che nessun altro dio greco,
neppure Hermes, era circondato da tante pietre quanto Apollo. Ma
come Hermes non ‘è’ la pietra, così anche Apollo non sorge dalla
pietra: le "hermai" ponevano in rilievo soltanto la solitudine
delle strade, la notte paurosa, la protezione del viandante,
della casa, dei campi. E appunto perché si era annessi gli
antichi luoghi di culto, Apollo prese possesso anche dei loro
segni distintivi, pietre, "omphaloi", altari, in massima parte
dedicati in principio alla Grande Dea. Questo non significa
affatto che una teofania apollinea a base di pietra non abbia
avuto corso, nel periodo in cui il dio non aveva ancora ricevuto
il suo aspetto classico: per la coscienza religiosa arcaica, la
pietra grezza evocava la presenza divina in modo più sicuro che
non le statue di Prassitele per i loro contemporanei.

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