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74. Cratofanie litiche.

da su Trattadu de Istoria de sas religiones de MIRCEA ELIADE 

Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania. Non v'è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v'è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. IL SASSO, ANZITUTTO, E'. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, COLPISCE. Ancor prima di afferrarla per colpire, l'uomo urta contro la pietra, non necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La roccia gli rivela qualche cosa che trascende la precarietà della
sua condizione umana: un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l'uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo DIVERSO da quel mondo profano di cui fa parte.
Non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi. La devozione del primitivo si riferisce sempre, in ogni caso, a qualche cosa di diverso, che la pietra incorpora ed esprime. Una roccia, un ciottolo, sono oggetto di rispettosa devozione perché rappresentano o imitano QUALCHE COSA, perché vengono da QUALCHE POSTO. Il loro valore sacro è dovuto esclusivamente a questi qualche cosa e qualche posto, mai alla loro stessa esistenza. Gli uomini hanno adorato i sassi soltanto nella misura in cui rappresentavano UNA COSA DIVERSA dai sassi. Li hanno adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come centri di energia destinati alla difesa propria o a quella dei loro morti. E ciò avveniva, è bene dirlo subito, perché le pietre con incidenza cultuale erano in maggioranza utilizzate come STRUMENTI: servivano a ottenere qualche cosa, ad assicurarne il possesso. La loro funzione era magica più che
religiosa. Fornite di certe virtù sacre dovute all'origine o alla forma, erano non adorate ma utilizzate.
Così l'americanista J. Imbelloni, studiando la zona di diffusione della parola oceano-americana "toki" (zona che si estende dal limite orientale della Melanesia fino all'interno delle due Americhe) ha rilevato i seguenti significati: a) arma di combattimento di pietra; ascia; per estensione, ogni strumento di pietra; b) insegna di dignità, simbolo del potere; c) persona che detiene o esercita il potere, per eredità o investitura; d) oggetto rituale (1). I ‘custodi delle sepolture’ eneolitici erano collocati accanto ai depositi mortuari, per garantire la loro inviolabilità (2). Sembra che i "menhir"
avessero un compito analogo: quello del Mas d'Azais era piantato verticalmente sopra un deposito mortuario (3). Il sasso proteggeva contro gli animali e i ladri, ma specialmente contro la ‘morte’, poiché, come la pietra è incorruttibile, così l'anima del defunto doveva durare indefinitamente, senza disperdersi (l'eventuale simbolismo fallico delle pietre preistoriche conferma questo senso, perché il fallo è simbolo dell'esistenza, della forza, della durata).

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